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CATANIA JUDAICA

catania_giudaicaNarra la leggenda che, dopo aver distrutto il Tempio di Gerusalemme (70 d.C.) , il malvagio Tito riempì tre navi di ebrei e le abbandonò al mare senza capitano, ma il buon Dio mandò una tempesta che le fece naufragare una in Spagna, una a Genova e l’altra in Sicilia.

In realtà però la presenza ebraica nella nostra isola, già citata da Cicerone, è probabilmente frutto di immigrazioni dall’Egitto verso il I sec. a.C.

Tuttora sono molte le città siciliane – da Palermo a Taormina, da Noto a Nicosia – che mostrano le tracce di questa storia antica. A Siracusa, nel sottosuolo di quella parte di Ortigia che ancor oggi si chiama la Giudecca, è possibile ad esempio visitare un raro e straordinario esempio di bagno ebraico (Miqweh).

E Catania? 

La più antica testimonianza della presenza di una comunità ebraica nella nostra città si deve a due epigrafi funerarie: una, trovata a Roma, parla di un tale Amachios di Catania ed è datata alla fine del III sec. d.C. , l’altra, emersa in via Sangiuliano, riporta la data del 21 ottobre 383.

Da allora la comunità andò crescendo progressivamente, diventando uno dei cardini dell’economia cittadina, in cui essi portarono attività commerciali ed artigianali prima assenti (lavorazione del ferro e del vetro colorato, tessitura di stoffe, coltivazione del baco e lavorazione della seta, oreficeria…); inoltre, prima dell’attivazione dei corsi dell’Università (1444), ebrei erano i più apprezzati medici operanti in città.

Questo aveva posto molti di loro in un posizione privilegiata nella società cittadina, a livello dell’alta borghesia e in generale ne aveva reso per lo più ben tollerata la presenza in città.

Ma non erano tutte rose e fiori. Gli ebrei restavano pur sempre cittadini di serie B, vessati da mille tasse, Servi della Regia Camera, ciclicamente oggetto di violenze e discriminazioni, obbligati ad indossare segni distintivi di riconoscimento.

Per poter praticare le proprie tradizioni e culti, separati dalla comunità cristiana, verso il VII secolo, la comunità ebraica si era raccolta sulla collina di Montevergine (anche se le porte della Giudecca catanese non furono mai chiuse, e molti ebrei vivevano anche fuori dai suoi confini).

Questo nucleo originario (Judeca suprana) si estese progressivamente verso sud-est (Judeca suttana), fino quasi ad inglobare la stessa Platea Magna cioè il cuore religioso, politico ed economico della città. Essa comprendeva due sinagoghe, un ospedale, un macello, un cimitero fuori le mura e un bagno per le purificazioni rituali che traeva le sue acque dall’Amenano (Judicello).

L’eruzione del 1669 e il terremoto del 1693 hanno sconvolto la topografia cittadina, cancellando le tracce fisiche del quartiere ebraico, mentre l’incendio dell’Archivio storico comunale nel 1944 ha fatto perdere molti preziosi documenti. Ma ancor prima di queste distruzioni è come se la città avesse cancellato dalla memoria collettiva la presenza degli ebrei.

Eppure a guardare bene qualche traccia ancora esiste.

Anzitutto nella toponomastica: la via Gisira (alle spalle dell’attuale piazza Mazzini) trae il suo nome dalla gizyah, una tassa musulmana poi mantenuta anche dai Normanni, che gli ebrei dovevano pagare per poter godere della libertà di culto e poter costruire una nuova sinagoga. E anche l’intitolazione alla Madonna della Catena, che tuttora si mantiene, dell’area in cui sorgeva il cimitero ebraico (attuale zona via Plebiscito) era usanza diffusa dopo il 1492, come simbolo della liberazione dalla iniqua pravitati yudaica.

Ancora più evidente la presenza ebraica fra le maestranze che lavorarono alla costruzione del Castello Ursino (1239-1250): disegnate sulla torre Nord-Ovest si notano infatti due Menorah, il candelabro a sette bracci del tempio di Salomone a Gerusalemme. Più discussa la derivazione del famoso Pentalfa che si trova sopra il finestrone di Levante e che, se non ha nulla a che vedere con la stella di David (che ha sei punte), può essere invece collegata alla simbologia cabalistica di ascendenza ebraica, ben conosciuta da Federico II.

E in fondo lo stesso simbolo di Catania, ‘u Liotru, ricorda i mitici incantesimi del mago ebreo Eliodoro e il suo scontro con il Santo Vescovo Leone.

Ma la storia la scrivono i vincitori, e il popolo ebraico è sempre stato vessato da una sorte avversa che lo ha portato a continue migrazioni e lotte per la sopravvivenza. Così anche la loro permanenza in Sicilia si conclude con l’ennesima cacciata, quella decretata dai cattolicissimi sovrani Ferdinando e Isabella di Spagna il 31 Marzo 1492.

Un’espulsione decisa nel clima di euforia seguito alla Reconquista di Granada, ma le cui conseguenze per l’economia del Regno erano ben chiare a tutti: «…et quantunque cridissimu sua cristianissima magestati farilo per czelo di la catholica fidi … non è sencza detrimento di lo dicto regno et di li diricti, dohani, cabelli, et raxuni di so herariu…» (la città di Catania alla Corona, Giugno 1492).

Matilde Russo

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