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CATANIA: IL VOLTO ANTICO DELLA CIVITAS

spannocchi-1578_veduta-dettT. Spannocchi, Veduta di Catania – particolare in “Descripciòn de las marinas de todo el Reino de Sicilia” 1578 (Biblioteca Nacional Madrid)

Il percorso di oggi ci ha fatto riscoprire il piacere di passeggiare attraverso i vicoli del più antico quartiere della nostra città, per ritrovare in esso gioielli architettonici come la casa di Giovan Battista Vaccarini – il principale protagonista della rinascita barocca della città dopo il disastro del 1693 – e luoghi carichi di storia, come la piazza XVII Agosto, con le sue pesanti memorie legate ai bombardamenti del 1941 ma anche e soprattutto testimonianza della capacità di rialzarsi che Catania ha sempre dimostrato nei momenti più difficili della sua storia. 

Qui fra vicoli, cortili e case terrane ancora oggi è facile trovare anziani pescatori seduti a cucire le reti, aiutati dai nipoti in una importantissima continuità nella trasmissione dei valori, delle tradizioni e dei mestieri che da millenni caratterizzano questa zona della città.

Le stesse scene avremmo potuto infatti ritrovarle anche nel Medioevo, quando attorno alla nuova Cattedrale normanna nasce la Civitas, sebbene allora il quartiere si presentasse molto diverso rispetto ad oggi. La principale differenza, che salta agli occhi guardando le antiche carte, era la presenza della possente cinta muraria.

La tradizione, la topografia e la toponomastica, estremi baluardi di una memoria storica sempre più labile, raccontano ancora di quel tempo – nemmeno troppo lontano – in cui l’orizzonte della città era chiuso entro un limite sicuro e invalicabile. Di questo sono pochi i catanesi ad aver coscienza, sebbene in migliaia ogni anno il 4 febbraio, nel “giro esterno” di Sant’Agata, seguano inconsciamente quell’antico tracciato che, seppur con modifiche e adattamenti, rimase pressoché invariato dall’ XI al XVIII secolo.

All’alba del Cinquecento Catania si presentava ancora cinta dalle antiche fortificazioni normanne, segnate da piccole torri a pianta quadrata, e con la zona della marina che – dicono le fonti – versava in condizioni pessime, spesso impaludata dalle piene dell’Amenano ed esposta a venti e mareggiate.

Ma dal 1541 iniziarono grandi lavori che cambiarono il volto della città, seppure portati avanti lentamente e conclusi soltanto pochi anni prima che la lava del 1669 e il terremoto del 1693 spazzassero nuovamente tutto via.

Primo, fondamentale oggetto di restauro, furono le fortificazioni che urgeva adeguare alle nuove tecniche di assedio, su progetto di Antonio Ferramolino da Bergamo. Iniziati a rilento, i lavori ebbero un’accelerazione a partire dal 1551, per impulso del viceré Juan De Vega e del pressante pericolo turco, e avanzarono tenendo conto delle priorità, poiché i fondi – provenienti da un’autotassazione dei cittadini – erano limitati.

In questo senso si spiega la maggiore attenzione che fu rivolta al fronte mare, il più esposto agli attacchi, che venne totalmente rifatto e protetto da una spessa cortina muraria, rafforzata dai nuovi bastioni di San Giorgio e Santa Croce attorno al Castello Ursino, don Perrucchio (nella zona dell’attuale via Vecchio Bastione prendeva nome da don Perrucchio Gioeni personaggio di spicco dell’aristocrazia catanese del tempo, che aveva il compito di curarne la manutenzione) e il Bastione Grande nella zona dell’attuale piazza dei Martiri, detto anche San Salvatore dal nome della vicina chiesetta in cui era conservato il mezzobusto ligneo di Cristo veneratissimo dai pescatori (dopo la demolizione della vecchia chiesa per far posto alla linea ferrata, oggi è conservato nella cappella di Via Dusmet).

Tali interventi nel 1620 furono completati su iniziativa di don Francesco Lanario, Duca di Carpignano, Soprintendente generale alle Fortificazioni. Egli, oltre al miglioramento funzionale delle difese, curò la nuova sistemazione della marina che, da sito pericoloso e malsano, divenne luogo di delizie e di piacevoli passeggiate, con panchine e palchetti per la musica.

Questa nuova strada, ribattezzata Via Lanaria in onore del Duca, seguiva l’andamento dell’attuale via Dusmet, era pavimentata – cosa straordinaria per l’epoca – ed arricchita da tre monumentali fontane nelle quali era stata incanalata l’acqua dell’Amenano: la prima era la biviratura magna sotto la cortina di Gammazita, la seconda la grande Fontana dei 36 Canali vicino alla porta omonima che ancora oggi si può ammirare alla Pescheria, e la terza la Fontana di sant’Agata realizzata sul luogo in cui secondo la tradizione i catanesi salutarono fra le lacrime le reliquie della martire trafugate nel 1040 dal generale bizantino Giorgio Maniace. Quest’ultima fontana è l’unico ricordo che resta di quel sito di delizie, cancellato dalla furia della lava del 1669 che cambiò totalmente al morfologia di questa zona della città.

Altro fu invece il destino delle mura, che resistettero bene alle calamità naturali che alla fine del ‘600 si abbatterono sulla città, ma non ad un nuovo modello di sviluppo urbano proiettato all’espansione sul territorio, che dalla metà del XVIII secolo portò a sacrificare gli antichi imponenti bastioni sull’altare dell’apertura dei nuovi assi viari.

Ma sotto il moderno assetto urbanistico, si può ancora seguire il tracciato della possente cinta muraria fatta per resistere agli attacchi del temibile pirata Dragut. Essa è ancora parte della memoria storica della città. Non perdiamola.

MATILDE RUSSO

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